06 gennaio 2024, Ancona – 23 anni

06 gennaio 2024, Rieti – 65 anni

08 gennaio 2024, Padova – 26 anni

10 gennaio 2024, Cuneo – 40 anni

12 gennaio 2024, Agrigento – 59 anni

15 gennaio 2024 Poggioreale – 33 anni

15 gennaio 2024 Poggioreale – 38 anni

22 gennaio 2024 Poggioreale – 34 anni

23 gennaio 2024 Verona Montorio – 57 anni

24 gennaio 2024 Teramo – 34 anni

25 gennaio 2024 Rossano Calabro – 34 anni

25 gennaio 2024 Foggia – 35 anni

28 gennaio 2024 Imperia – 66 anni

04 febbraio 2024 Verona Montorio – 38 anni

04 febbraio 2024 Carinola – 58 anni

04 febbraio 2024 CPR Ponte Galeria – 22 anni

10 febbraio 2024 Marassi – 33 anni

11.02.2024 Latina – 36 anni

11.02.2024 Terni – 46 anni

13 febbraio 2024 Pisa – 64 anni

14 febbraio 2024 Lecce – 49 anni. 2024.

20 suicidi da inizio anno. Uno ogni 60 ore. 24 le morti nelle carceri italiane determinate da cause diverse dal suicidio. 45 il numero totale dei decessi, al 16 febbraio 2024, tra le mura detentive del Nostro Stato. Una conta macabra che si aggiunge al pesante bollettino dello scorso anno: nel 2023, anno funesto, si sono tolte la vita nelle carceri italiane 66 persone. Un numero esorbitante che rischia quest’anno di essere persino più elevato. Le nostre carceri, ormai da tempo luoghi di detenzione “inumana e degradante”, barbaramente sovraffollate, provocano suicidi. E sono suicidi che pesano, devono pesare, sulla coscienza di chi amministra la giustizia in questo Paese e sulla coscienza di tutti noi, cittadini e cittadine libere. Perché lo Stato, inerte di fronte a questo grido di dolore, siamo anche noi. Eppure, senza avere la presunzione di conoscere e di giudicare l’intima e drammatica scelta di chi decide, con un gesto estremo, di porre fine alla propria vita, non possiamo non considerare questi suicidi come un affare privato. Questi suicidi sono un affare di Stato. Perché quando a morire sono detenuti, persone sotto la custodia dello Stato, ed in un numero così elevato, la questione non è privata, ma politica. E occorre con forza non solo denunciare le gravi condizioni di detenzione, ma correre ai ripari, per fermare quella che sta assumendo i contorni di una carneficina. Il nostro sistema carcerario è al collasso. Altro che finalità rieducativa della pena, altro che articolo 27 della Costituzione. Rileggiamolo: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Difficile immaginare che sia rispettato l’obiettivo costituzionale della risocializzazione dentro celle che grondano muffa, prive dei più basilari servizi igienici, senza acqua calda, senza riscaldamento, con cessi alla turca vicini ai fornelli, mancanza di personale, assenza di supporto psicologico, carenza di educatori e sanitari, inidoneità strutturale e professionale per la cura dei soggetti psichiatrici, mancanza di percorsi differenziati per i ristretti in attesa di giudizio, con conseguente diminuzione (se non azzeramento) di proposte trattamentali, di corsi di formazione ed istruzione, di attività lavorative e spazi di socialità. A ciò si aggiunga un sovraffollamento carcerario che si aggira intorno alle 60mila unità contro i 51mila posti previsti. Oltre 15mila detenuti per pene brevi, di cui oltre 7 mila con pena sotto i 12 mesi ed oltre 8 mila con pena al di sotto dei due anni. Anziché intervenire con provvedimenti di clemenza, amnistia o indulto (l’ultimo risale al 2006, preistoria), la classe politica batte la lingua sullo stesso tamburo: ‘più sicurezza, più carcere’. Tradotto, fino alle più macabre espressioni: i colpevoli devono ‘marcire in carcere’. E marciscono, sì, prima di togliersi la vita, uno ogni 60 ore. E se è vero che il grado di civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle proprie carceri, il nostro è sicuramente incivile, tollerando, nel silenzio generale, così palesi violazioni dei diritti umani. Il Ministro Nordio propone di contrastare il sovraffollamento adattando le caserme dismesse per farne nuovi istituti di pena. Una soluzione inaccettabile che parte dal presupposto, del tutto errato, che solo il carcere, solo la privazione della libertà personale possa garantire più sicurezza quando ormai è acclarato, dati alla mano, che l’esecuzione della pena in misura alternativa al carcere abbatte sensibilmente il rischio di recidiva. Noi riteniamo, al contrario, che si debba intervenire, con la massima urgenza, attraverso un ripensamento dell’intero sistema detentivo, con maggiori investimenti finalizzati ad implementare il numero degli educatori, dei direttori, del personale sanitario e di polizia penitenziaria e con il necessario ampliamento dell’accessibilità alle misure alternative alla detenzione. Nel frattempo si abbia il coraggio di intervenire con provvedimenti di amnistia o indulto capaci nell’immediato di riportare il sistema detentivo entro le coordinate della ragionevolezza. Attendere oltremodo senza attuare provvedimenti urgenti e drastici significa rendersi complici di un sistema detentivo che uccide al ritmo di una persona ogni 60 ore.

Il Garante dei detenuti Marco Solimano

La Camera penale di Livorno Aurora Matteucci (Presidente) Guia Tani (Referente commissione Carcere)

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